giovedì 13 settembre 2007

LETTERA APERTA A GIORGIO TODDE

Ricevo dagli Architetti Livio De Carlo ed Eliana Masoero questa lettera aperta a Giorgio Todde che pubblico integralmente:

Alle parole di Giorgio Todde non possiamo che rispondere in forma pubblica.
I capricci ci hanno insegnato a non farli quando eravamo bambini e non è certo in questo difficilissimo e faticoso mestiere che ce li possiamo permettere. Noi architetti abbiamo ben imparato quali sono le conseguenze dei nostri segni, come Todde probabilmente sa che le parole scritte, specialmente sui quotidiani, da chi gode di stima e benevolenza, non modificano paesaggi ma influenzano le coscienze e possono fare anche molto male. I commenti sulla regolarità delle carte si aggiungono a parole come “incestuosa pubblica collusione” firmate dai 59 “intellettuali” sardi e ospitate nel sito ufficiale della RAS a proposito dell’Accordo di programma e ci hanno fatto accapponare la pelle: per chi le ha scritte, per i cittadini che le leggono. A noi suscitano solo profonda tristezza.
Noi e tutti coloro che hanno vissuto in prima persona le fasi di questi intensi 10 anni, ricordiamo ancora l’entusiasmo provato quando finalmente, non solo l’area della necropoli allora già nota e soggetta a vincolo, ma una piu' vasta porzione di territorio con valenze paesaggistiche e ambientali, passava dalla proprietà privata a quella pubblica! E ricordiamo con quanta attenzione abbiamo letto i segni e indagato il territorio per capirne la natura e la complessità, per trovare i modi di tutelare un patrimonio al centro di una città e nello stesso tempo valorizzare un’area violata nel recente passato, isolata ed esclusa, attraversata da passi perduti che ne segnavano un uso clandestino. Quei segni di percorsi, di reti divelte, di tombe abitate ci hanno guidato attraverso la sua lunga storia. La città “civile” al contorno gli voltava le spalle, mentre un’altra società ne occupava gli spazi; un’umanità derelitta se ne appropriava. Nel catino i ragazzini giocavano a calcio, mentre altri alla luce del sole tenevano i loro traffici illeciti e intanto i bambini attraversavano la necropoli per raggiungere la scuola o gli amici. Era evidente che tutta l’area avrebbe dovuto essere permeabile, per dare a quei bordi la completezza che era loro mancata per anni, per dare dignità a percorsi monchi, per restituire all’uso pubblico un’area privata e abbandonata. Perciò c’è stato un confronto continuo con tutti gli interlocutori pubblici competenti e non certo con l’imprenditore (la proprietà di allora non era per nulla interessata a un’area che già aveva ceduto). Forse altri modi e altri progetti erano possibili, ma nel nostro lavoro ad un certo punto tutte le idee, i vincoli, la ricerca, le questioni economiche, la sicurezza e la tutela, la futura gestione dei luoghi e il loro invecchiamento, i tempi della burocrazia, tutto si deve comporre in un delicato puzzle affinchè gli intenti diventino realtà. Di quella realtà l’architetto risulta il piu' evidente autore e spesso capro espiatorio. Per quanto riguarda il “giardinetto” (come Todde definisce i 3 ettari del Catino) potremo riparlarne se e quando gli abitanti dei quartieri limitrofi e i visitatori irritati e sdegnati, lo diserteranno. Per la messa in sicurezza e l’accessibilità dei luoghi anzichè “mattoni e cemento”, abbiamo usato le stesse pietre calcaree dei colli e ora ci si lamenta che il colore non piace: brutti scherzi della natura! Sul colore della terra di coltivo ancora gli architetti non possono fare molto per soddisfare esigenze cromatiche dei singoli. Avremmo potuto realizzare gli interventi necessari e poi riportare tutto a un finto degrado per ricreare l’ambiente decadente e un po' inquietante cui sembrano essere affezionati alcuni conservatori. La consolante conservazione dell’abbandono, il fascino desolante della rovina avrebbero potuto indicare un’altra via possibile: conosciamo bene questi sentimenti, ma altrettanto bene la complessità sociale della città e quindi argomenti quali “piazzette di periferia, parco attrezzato da sobborgo” ci sembrano poco utili alla causa e al futuro di Tuvixeddu. E' sensato definire “vezzi, capricci, ghiribizzo di un architetto”, il lavoro appassionato di tante persone che con sensibilità e competenza, si sono confrontate sul progetto, sono state controllate, guidate, talvolta bacchettate dalle istituzioni pubbliche che a diverso titolo si occupano del territorio e della sua tutela?
Se chi parla di valorizzare Tuvixeddu avesse la pazienza per capire quanto è già stato fatto, non farebbe che aiutarne la salvaguardia. Il Parco pubblico era quasi pronto; le azioni in corso in questi giorni “regaleranno” alla città, a carissimo prezzo, anni di blocco e inevitabile degrado, forse con esclusivo vantaggio dei migliori studi legali.
Concludiamo dicendo che leggeremo ancora i libri di Todde, certo con altri occhi, e che ci piacerebbe mostrargli dove, secondo noi, la volgarità vera e l’ignoranza si nascondono insidiose, pronte ad assalirci e a sommergerci.

Livio De Carlo, Eliana Masoero
Progettisti del piano di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di Sant’Avendrace
Progettisti del Parco Pubblico di Tuvixeddu


Postato il 13/02/07

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